La musica di Giuseppe Verdi inaugura la stagione del Teatro delle Muse di Ancona.
Con “Un ballo in maschera” nella versione originale, censurata inizialmente a Napoli, quando non si poteva portare sulla scena un regicidio, nel momento in cui il re Ferdinando aveva appena subito un attentato. Fu trasferita quindi oltreoceano, nella lontana Boston.
Ora recupera invece l’ambientazione svedese alla corte del re Gustavo III. E allora si capisce lo spirito nordico che le ha impresso il regista Pete Brooks, con le scene minimaliste, costituite da pannelli bianchi che si aprono, mentre le videoproiezioni mostrano nuvole di diversi colori, a seconda degli stati d’animo, e mani che si allontanano e si ritrovano.
Ma il regista azzarda ancora di più: nel preludio, Gustavo è già sdraiato sul suo letto di morte e, come in una sorta di flashback, ricorda gli ultimi episodi, quelli fondamentali, della sua vita.
Il suo amore tragico e disperato per Amelia, la moglie del suo segretario e più fedele amico. E quando i due si incontrano e confessano il proprio reciproco sentimento emergono le sfaccettature, le gioie, le debolezze, i cedimenti dei personaggi verdiani e di ogni essere umano. Lacerati dal senso di colpa e dal rimorso, ma impotenti di fronte alla passione, nel duetto tra un bravissimo Otar Jorijkia e una potente Ana Petricevic.
Ma altrettanto grandiosa è l’interpretazione di Alberto Gazale, il marito e l’amico tradito, che ricorda i suoi affetti più cari, mentre medita già la vendetta.
La musica di Verdi esplode, trascina, travolge. Ma sa anche diventare leggera, festosa nella scena del ballo, dove Riccardo si presenterà con una macchia di sangue sullo sparato dello smoking, segno ineluttabile del suo destino. Un’opera che regala una pienezza, un vigore nuovi e una sottile commozione.
Così raggiungiamo il dietro le quinte, dove si brinda al successo. Fra Amelia, ancora nel suo vestito scintillante di paillettes, il paggio Oscar con la maschera dipinta sul viso, fra coristi, musicisti e tecnici.