Da lontano sembra una cittadella fortificata, i bastioni di una rocca medioevale. Le rocce del periodo giurassico del massiccio che domina il Parco dell’Isalo si stagliano con un’imponenza prepotente.
Il circuito Namazaha, uno dei tanti che si possono scegliere, lungo dodici chilometri, è l’avventura più faticosa, più entusiasmante, più incisiva che si possa vivere in Madagascar. Il sentiero, spesso strettissimo, è costituito da una serie di gradini intagliati sapientemente nella roccia. Ma richiede attenzione, fatica e fiato, per raggiungere la sommità, le creste, le terrazze, da cui affacciarsi sulla vallata, lontana, col verde abbagliante delle sue risaie.
Il massiccio invece, con i suoi pinnacoli, le gole, i canyon è striato di grigio, marrone, rosso, giallo. La testimonianza delle stratificazioni di milioni di anni è proprio lì davanti a noi, accanto a noi.
Nei rari sentieri diritti, che non ci fanno salire o scendere fra i 500 e i 1200 metri sul livello del mare, ci muoviamo tra gli alberi di tapia, riconosciamo i monumenti in pietra delle etnie che un tempo abitavano la foresta. La potenza delle rocce riesce quasi a farci dimenticare il grande sforzo e il sole che batte.
Raggiungo la radura, lasciando i miei compagni che si avviano verso una piscina naturale. Sono distrutta, incredula, orgogliosa. E circondata, ormai lo so, dai lemuri.
Ma qui vive una razza particolare, quella dei lemuri ballerini, completamente bianchi, che si lanciano in senso orizzontale da un ramo all’altro.
Il ritorno al nostro fantastico lodge, alle nostre tende con i mobili coloniali e una certa aria d’antan, sembra un miraggio. Mi sento avvolta, protetta, confortata.
Ma la giornata ha dei ritmi: raggiungiamo la “finestra del tramonto“, una strana formazione rocciosa dietro la quale si vedrà calare il sole. La nostra guida ha una marcia in più: ci ha organizzato un aperitivo a base di rum al chili, rigorosamente malgascio. E il tramonto è stupendo.
Il nostro viaggio continua, il giorno successivo, verso l’Oceano Indiano, verso la costa occidentale del Madagascar.
Il paesaggio è quello più arido, dei fiumi in secca, della foresta spinosa, degli enormi alberi di baobab che si elevano in tutta la loro grandiosità, raggiungendo anche i trenta metri. Giganti isolati nel nulla. Si incomincia a intravedere il mare, dove spuntano le mangrovie. Eccolo il Canale del Mozambico, quel tratto di Oceano Indiano che separa l’isola del Madagascar dal continente africano, da cui si separò 180 milioni di anni fa.
Il cielo diventa giallo, mentre in lontananza si vedono rientrare le barche a vela quadrata e le piroghe a bilanciere.
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