Siamo partite da sole, io e una mia amica, armate soltanto di un volume della Lonely Planet. Prenotato solo un albergo, per il resto del viaggio siamo andate all’avventura. Giovanilistico? No, normale, con un pizzico di fortuna. Non vi racconterò di massaggi ayurvedici o delle scuole di yoga, già molto conosciuti, ma del nostro viaggio, delle meraviglie di questo stato, la punta dell’India che si affaccia sul mare arabico. Unica, rigogliosa, lontanissima dalla povertà degli slam di Mumbay o dal traffico inverosimile delle grandi città.
Come, secondo il mito, la volle Parasuram, quando ordino’ alle acque di ritirarsi e la fece emergere.
VARKALA
Ma torniamo a noi: dall’aeroporto di Trivandrum arriviamo, in macchina, a Varkala e ci precipitiamo sulle sue spiagge bianche, protette da un’alta scogliera. Vittime del jet leg, vediamo sulla riva del mare dei giovanissimi monaci buddisti che occhieggiano. D’obbligo, nel pomeriggio, un massaggio, ma non nelle strutture del nostro albergo. Come ci hanno consigliato, è preferibile farlo in altri posti, caso mai molto modesti, ma più economici e dove soprattutto gli operatori sono più bravi. E in effetti, dopo il massaggio, con il corpo e i capelli completamente impregnati d’olio, mi addormento immediatamente e mi risveglio, posso solo immaginarlo, con la beatitudine di un neonato. Al tramonto, il tempio induista, fra il rumore assordante dei tamburi, e’ gremito di madri con i loro figli, a cui i monaci offriranno il latte, in nome di Ganesh il dio con la proboscide, che protegge i bambini. In alto, sulla scogliera, dobbiamo scegliere fra una serie di piccoli ristoranti, uno accanto all’altro. Il pesce e’ ottimo: piccoli squali, marlin, frutti di mare. E, nascosta sotto il tavolo, una teiera piena di birra, non avendo i ristoranti la licenza per gli alcolici.
CROCIERA
Un paio di giorni e si parte per la crociera per i canali interni. Siccome siamo donne, sole e straniere, pensiamo subito che ci aspetti una fregatura e optiamo, da furbissime, per la barca che costa di meno. Restiamo di sasso, quando la vediamo arrancare verso l’ormeggio e soprattutto quando sfilano accanto alla nostra delle house-boat nuove e meravigliose. Non importa: abbiamo una barca fatiscente, ma tutta per noi e tre uomini di equipaggio.
Il comandante ci accompagna la sera al mercato a comprare aragoste: abbiamo il sospetto che costino quanto in Italia. Ma sotto una pioggia torrenziale dobbiamo solo pensare, ora che si confonde tutto, a mettere i piedi dentro la barca e a non finire nel canale. Ceniamo alla luce delle lampade, perchè la corrente, come succede spessissimo e’ saltata. The captain si rivela un cuoco eccellente, in ogni momento della giornata, con cozze cotte nel wok, colazioni, merende e spuntini di ogni tipo. Leggo un romanzo, al lume di una torcia, nel mio letto un po’ abborracciato e mi piace. Ma è al risveglio la vera sorpresa. Vestite di un pareo, rimaniamo senza neanche parlarci sedute a prua. Si sente soltanto il fruscio di qualche uccello o il rumore querulo delle papere. In lontananza dei piccoli villaggi, templi e moschee. La vegetazione cambia continuamente, distese di risaie e palme di cocco. I canali diventano strettissimi, per allargarsi in lagune. Ma lì, in quei corsi d’acqua, si svolge la loro vita, quella di tutti i giorni: uomini che lavorano, trasportando sulle zattere legname, mattoni, verdura, bambini che schiamazzano e giocano nell’acqua, donne che fanno il bucato e puliscono le stoviglie. E poi giovani, avvolte nei loro sahri, che si lavano nei canali, facendo riemergere dall’acqua i capelli scintillanti di sole.
È la vita reale, quella che non si vede dalla strada. Vorrei rimanere qui, a godermi l’atmosfera dei canali. Arriviamo sulla nostra house-boat un po’ sgangherata, con un filo d’imbarazzo, al pontile di un magnifico albergo.
Ci accoglie, senza fare una piega, il direttore e ci accompagna nella nostra suite. Quasi tutte le stanze del Kumarakom Lake Resort si affacciano su una piscina a serpentina, che riflette il disegno dei canali. Abbiamo nuotato molto in questa singolare piscina, soprattutto per impicciarci degli affari degli altri ospiti.
COCHIN
Ci aspetta Cochin, con le sue architetture di stampo britannico, olandese e portoghese, a seconda delle dominazioni. E sul porto le reti cinesi, delle enormi e aggraziate reti da pesca a bilanciere. Andiamo dirette in un albergo, un ex casa portoghese, che abbiamo sempre trovato sulla nostra guida. La piccola reception e’ stracolma di studentesse, piene di acne e di zainetti. Ma basta salire al primo piano, per ritrovare l’atmosfera di un tempo: i pavimenti lucidissimi di legno scuro, le vetrate, che si affacciano sul giardino. E sappiamo che a pochi passi da qui è possibile con certezza vedere il kathakali, una sorta di teatro che ha origine proprio in Kerala. Non se ne parla neppure, almeno quattro ore a vedere pochi personaggi, che si esprimono solo a gesti.
E invece ci avviciniamo: il momento del trucco, lunghissimo, è affascinante. Gli attori si coprono il volto di biacca e di colori, ognuno dei quali esprime sentimenti diversi. Saltano, si affrontano, rumoreggiano, esprimono con un solo battito di ciglia o lo strizzare di un occhio sentimenti diversi, che si impara a conoscere. La trama e’ sempre molto semplice: la battaglia eterna fra il bene e il male, il contrapporsi di stati d’animo opposti. Che si concluderà naturalmente con la totale armonia.
Beh, siamo rimaste fino alla fine, completamente affascinate. Anche questo è il Kerala.
(Kumarakom Lake Resort – www.kumarakomlakeresort.in – Tel.+91 481 252 4900).