Stendardi sventolano alle finestre, ai balconi, dai palazzi. Sono i colori del Bruco, dell’Aquila, della Pantera, del Drago. Le strade medievali di Siena sono gremite di gente di tutte le età, con un fazzoletto appeso al collo, emblema della propria contrada. C’è fervore, animazione, elettricità.
E anche noi, come farfalle impazzite, cerchiamo un punto da cui si possa vedere l’ultima prova del Palio, il giorno che precede la gara, quando ormai tutti i valichi verso la piazza sono stati chiusi. Finalmente troviamo uno spiraglio in una delle porte di ferro.
Piazza del Campo è completamente invasa, si vedono in lontananza centinaia di teste. Dagli spalti le persone si agitano, chi può assiste dalle finestre e dalle terrazze. Riusciamo a vedere i cavalli che scalpitano sull’anello cosparso di tufo, che circonda la piazza.
Dopo la prova, i contradaioli sfilano con in testa il loro cavallo, i bambini cantano gli inni. L’agitazione, la tensione, la gioia che impregna l’aria fa capire immediatamente che il Palio non è una semplice ricostruzione storica per attirare i turisti. Attraverso i secoli, ha mantenuto lo stesso spirito, intatto e viscerale. I litigi furibondi fra mogli e mariti, fra amici, fra colleghi, appartenenti a contrade diverse, non si contano.
Si consiglia, se è possibile, di evitare di partorire nel giorno della gara e in quelli che la precedono. Un mio amico che, per sbrigare delle pratiche si è recato alla Confagricoltura, ha trovato solo un dirigente, casualmente di San Gimignano.
Alle contrade di Siena, i rioni della città, si appartiene per nascita, tutti si danno del tu, gli adulti partecipano alle cene e agli avvenimenti sociali, i bambini imparano a suonare i tamburi e a far volteggiare le bandiere.
E ci si prepara durante l’intero anno per il Palio.
Poi tutto si risolve in quel momento, quando i cavalli scattano e percorrono per tre volte il circuito, superando anche curve pericolose. Naturalmente vince chi arriva per primo. Allora si scatenano i motteggi, gli insulti, ci si azzuffa. Anche contro i fantini che si sussurra, a voce non troppo bassa, hanno usato il loro nerbo di bue non solo per incitare il proprio cavallo, ma anche per ostacolare i concorrenti.
Ma soprattutto la festa invade la città, dove si celebra oltre che la bravura del fantino, il cavallo. Da sempre l’unico, vero eroe.