Adagiato su una collina, il Tempio di Segesta appare in tutta la sua imponenza, unico e solitario.
Costruito nel quinto secolo avanti Cristo, le sue colonne sei sul lato più corto e quattordici su quello più lungo, svettano alte dieci metri.
Si tratta di un tempio dorico, quindi appartenente alla cultura ellenica, ma con qualche mistero che fa ancora discutere gli studiosi. Segesta fu infatti costruita dagli Elimi, un popolo che con ogni probabilità proveniva dall’Asia minore. La tesi più accreditata è che l’opera fu realizzata da un architetto e da delle maestranze greche, con cui questa popolazione manteneva dei contatti.
Ma c’è un’altra curiosità: il tempio, un rarissimo esempio, non venne mai terminato. Lo dimostrano i pezzi di roccia che emergono sui gradoni, che servivano per trasportare i blocchi dalla cava, per essere poi eliminati, mentre le colonne non vennero mai scanalate. Forse fu una guerra ad interrompere i lavori. Ma il tempio, in tutta la sua grandiosità, con le sue colonne ancora tutte erette, ci attende da 2500 anni.
Bisogna poi salire, fra il profumo e i colori di una fitta vegetazione, per raggiungere la cima del monte Barbaro, dove si trova il teatro. Costruito alla fine del terzo secolo avanti Cristo, si affaccia sul mare e sulle colline a perdita d’occhio. La cavea, dove sedevano e quando ci sono le rappresentazioni siedono ancora gli spettatori, è costituita da blocchi di calcare e può contenere fino a 5000 persone.
Un salto nello spazio e soprattutto nel tempo e siamo a Gibellina. Ci troviamo di fronte all’abbacinante biancore del Cretto di Alberto Burri, una colata di cemento e di macerie, dove sorgeva la città, completamente distrutta nel 1968 dal terremoto del Belice.
Una distesa di ottanta mila metri quadrati, con cui solo Burri poteva rendere in un colpo d’occhio il senso della tragedia e consegnarlo alla storia. Il cemento poggia sui detriti che rimanevano, ricreando con le sue scanalature le strade della città che non esiste più. Ma sono e saranno per sempre anche fenditure dell’animo.