Molti chilometri, molte strade tortuose, tra foreste di faggi e di pini, ci conducono a Verghina in Macedonia, a 70 km. da Salonicco.
Ed è qui che ci immergiamo sotto il grande tumulo, nella tomba di Filippo II il Macedone.
Proprio sotto questa collina, soltanto nel 1977, un caparbio archeologo greco scoprì questa tomba, con tutto il suo corredo completamente intatto.
Ci aggiriamo nella penombra, calamitate dai bagliori degli ori e degli argenti, dallo splendore degli avori. Le spade e i pugnali del defunto, la sua corazza decorata d’oro, i gambali, lo scudo, tutti i simboli del suo valore e della sua grandezza.
Ma è esposto anche il vasellame da banchetto, brocche bacili anfore finemente lavorate in argento, che lo accompagneranno nell’al di là.
Lo sfarzo e una estrema raffinatezza si coniugano nell’ urna d’oro, con incisi i sedici raggi del sole macedone, dove erano custodite le sue ossa.
E nel fantastico diadema, dove si intrecciano 313 foglie e 68 ghiande.
Al di là dei dubbi sulla sua attribuzione, a chi poteva appartenere questa tomba se non a Filippo, il condottiero che trasformò una terra di pastori in un grande regno?
Solo il suo assassinio spezzò il sogno che coltivava di conquistare la Persia. Ma ne prese il testimone suo figlio, Alessandro Magno. E proprio lui potrebbe essere rappresentato in un giovane cavaliere, insieme al padre Filippo, nell’affresco della caccia che sovrasta l’ingresso monumentale alla tomba.
Un’esperienza unica, che va ben oltre la bellezza degli oggetti conservati. Ci si ritrova lontani dalla realtà, in un mondo parallelo, che ci riporta in un attimo nel 300 avanti Cristo.